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La persona inguaribile non è una persona incurabile In Evidenza

La persona inguaribile non è una persona incurabile

Un convegno per un tema sensibile
Marisa e Primo, una coppia di coniugi bolognesi. Il loro caso diventa emblematico, quando il marito settantenne entra in una situazione di minima coscienza, per un aneurisma cerebrale. «Qualora mi dovessi trovare in una situazione disperata, non voglio continuare a vivere. Mio marito non ha scritto nulla, ma so che non avrebbe voluto vivere così. Non prenderò decisioni per lui, ma se riuscisse a comunicarmi il desiderio di farla finita, io lotterei per l’esaudimento della sua volontà, lo porterei in Svizzera”.
Le parole della donna rivolte a sua figlia è incipit all’intervento del professor Pasquale Giustiniani, ordinario di Filosofia presso la PFTIM, relatore al Convegno organizzato dall’ISSR Donnaregina di Napoli il 4 maggio 2017, insieme al dottor C. Buccelli, professore ordinario di Medicina Legale presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Federico II di Napoli.
La tavola rotonda che ha avuto come titolo “La persona inguaribile non è una persona incurabile. Riflessioni etiche”, introdotta da don Antonio Scarpato, professore ordinario di Teologia morale e direttore dell’ISSR Donnaregina e moderata dal Professore Dario Sessa, ordinario di Scienze Umane del medesimo Istituto, ha catturato l’attenzione dei numerosi studenti dell’ISSR intervenuti e di partecipanti esterni.

La proposta di legge sul biotestamento
Le questioni poste in essere riguardano il malato cosiddetto terminale e la propria autodeterminazione, argomenti che sfociano in un fondamentale interrogativo: “Abbiamo il dovere di praticare tutto quello che è possibile o dobbiamo lasciare morire in pace la persona senza accanirci?”.
Lo sbilanciamento delle famiglie attuale complica la situazione, perché le connessioni relazionali sono assai labili e dunque coloro che possono disporre della possibilità decisionale sono di incerta individuazione.
Il docente ha profilato in breve il testo licenziato il 20 aprile del 2017 dalla Camera sul biotestamento, ora passato all'esame del Senato e che si orienta verso una vera e propria Legge sull’eutanasia.
Si enuncia infatti: “Nel caso di paziente con prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure…”. In filigrana al disegno di legge i casi Englaro, Welbi e molti altri.

DAT, autodeterminazione e pianificazione condivisa
Tre i livelli individuati dal Giustiniani per la riflessione. Il primo: la dichiarazione anticipata di trattamento, vale a dire l’accettazione o non accettazione di proposte terapeutiche, il cosiddetto consenso informato, per cui il medico è detentore di un sapere specialistico, ma non il padrone delle terapie.
Il secondo: l’autodeterminazione, cioè di fronte al tribunale della vita, il soggetto si autodetermina rispetto alle scelte che vuole compiere.
Il terzo infine, comparso solo in questa legislazione, cioè la pianificazione condivisa dei trattamenti, terminologia che rivela un fondamento di carattere manageriale.

Rapporto medico-paziente e accanimento terapeutico
Il prof. Bocelli, nella medesima prospettiva, pone in luce, come negli ultimi anni, si sia affermata la sovranità della persona sul proprio corpo e sulla propria vita, finanche quando non si ha la possibilità di comunicare le proprie intenzioni. Tutto ciò – ha affermato l’ordinario di Medicina – è frutto del deterioramento della relazione medico-paziente. Questi ha la massima fiducia nella medicina e l’assoluta diffidenza nei confronti del medico. Allo stesso modo, il medico teme il paziente perché ipotetico suo accusatore. In questa linea si rafforza la posizione di chi preferisce morire per legge piuttosto che per sentenza. Fondamentale – ha sostenuto il prof. Bocelli – è che il medico non cada nell’errore tragico di misurare la qualità della vita del paziente dal proprio punto di vista. Dovrà considerare, infatti, che rispetto a un testamento biologico redatto anni prima, il parere del testatore potrebbe cambiare nel tempo o che, come conferma la letteratura medica, può trattarsi di un testatore ondivago ovvero depresso, ovvero influenzato, ecc.

L'accanimento terapeutico e il mistero dell'uomo
Restano allo studio questioni fondamentali, tra le quali quella somministrazione di acqua e cibo. Un mezzo naturale di conservazione della vita o trattamento terapeutico? Se per la risposta al quesito si propenderà per la seconda soluzione allora non si tratterà dell’accanimento terapeutico, a cui anche il Magistero della Chiesa si oppone, ma il lasciare che un essere umano cessi di vivere per fame e per sete.
Un breve dibattito, a cui è intervenuto anche il professor Mori dell’Università degli Studi di Torino, ha concluso il Convegno che, se da un lato, ha fornito risposte pregnanti a interrogativi fondamentali riguardo alla preziosità della vita umana, dall’altro ne ha stagliato altre che orientano a una continua ricerca nel tentativo di accogliere il Mistero che coinvolge Dio e l’uomo.



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